Una foresta tropicale, sul lago di Varese

Un’antica serra è tornata a nuova vita grazie al lavoro dell’associazione Utopia Tropicale: una suggestiva immersione tra flore esotiche del mondo capaci di resistere fino a zero gradi. Una foresta tropicale sul lago di Varese. Felci in primo piano nella serra di Utopia Tropicale - Foto di Matteo Carassale Una serra così libera e rigogliosa è già una rarità nel nostro Paese, ma questa racchiude talmente tante piante, storie e idee da diventare un luogo unico, una delle frontiere più interessanti del fare giardino e cultura del giardino oggi in Italia. I motivi sono molti, ma il nome del progetto, Utopia Tropicale, li riassume tutti: un archetipo di foresta, un esotico fantastico fattosi realtà e a sua volta generatore di una serie di rapporti e di scambi che a un mondo ideale si avvicinano molto. La scoperta della serra abbandonata Nel 2013 Marta Maran e Riccardo Cucchiani, che lavorano nella didattica e nell’arte (con le giungle di Rousseau o Ligabue ben in testa), s’imbatterono nella serra abbandonata di Villa Tatti Tallacchini a Comerio (Varese): un relitto ottocentesco sopravvissuto allo smembramento della proprietà nel secolo scorso e alla fine di una gloriosa epoca di acclimatamenti botanici di cui quel territorio fu esempio illustre. La serra “nobile” apparteneva ancora a privati, ma la più umile serra da coltivazione (pare che da qui provenissero i ciclamini che adornavano le “prime” del Teatro alla Scala), donata al Comune, giaceva inutilizzata. Vetri rotti, un’ossatura in ferro, nulla di vivo, eppure il richiamo fu irresistibile. Insieme ad amici altrettanto appassionati e visionari, Marta e Riccardo fondarono l’associazione culturale Utopia Tropicale, ottennero in concessione la serra, la ristrutturarono poco alla volta e la ripopolarono a furia di semine, talee e piantine donate, aprendola al pubblico. Nella serra trovano dimora oltre 500 specie - Foto di Matteo Carassale Un progetto partito dal basso Questa genesi dal basso (ancora oggi la gestione è volontaria) è già una virtuosa anomalia e racconta di un modo di pensare il giardino come processo autarchico e collettivo. Anche l’estetica scompigliata e strapiena (cinquecento le specie coltivate, dalle foglione di Monstera deliciosa alle miniature di Bulbophyllum taiwanense) mostra una forma di bellezza poco canonica e non patinata, fatta di fiori ma soprattutto di foglie irresistibili. Far rivivere la serra nella sua funzione originaria, come luogo di sperimentazione e ricerca piuttosto che come scenografico contenitore di eventi, è stata un’altra scelta controcorrente. Marta Maran e Riccardo Cucchiani, fondatori di Utopia Tropicale - Foto di Matteo Carassale Al di fuori di orti botanici e vivai, le serre sono ormai spazi in recessione, troppo complicati: dimostrare che possono tornare a splendere e in modo sostenibile (la serra di Comerio non è riscaldata, a parte alcuni nebulizzatori, è priva di automatismi e usufruisce dell’acqua di una sorgente) può avere conseguenze importanti sul recupero di tutte le serre malconce che popolano i giardini di lago e costituiscono uno straordinario fattore per una possibile identità ritrovata. L’incastro di fronde, i contrasti accentuati, i verdi esplosivi esaltano le potenzialità di una flora che, in un’epoca di celebrazione dell’autoctono, è spesso ritenuta non più al passo con i tempi. La sfida è stata proprio inseguire atmosfere lussureggianti a partire da una relativa rusticità. Le piante coltivate sono solo quelle capaci di resistere a minime di 0 °C e massime intorno ai 35 °C: non tropicali in senso stretto (se non di montagna), ma subtropicali e talvolta persino europee, come l’Osmunda regalis che prolifera intorno alla piccola vasca con ninfee. Microcosmo complesso Non si è dunque ricreato un biotopo specifico, ma sono state accostate specie botaniche provenienti dai quattro angoli del mondo, accomunate da analogie climatiche e sembianze marcatamente esotiche. Dal Queensland australiano alla Sierra Madre messicana, dagli altipiani africani alle pendici himalayane: convivenze inventate ma verosimili e senza mai fare ricorso a ibridi, per assicurare un aspetto il meno artefatto possibile. La compresenza di esigenze diverse intensifica il lavoro e la regia umana è indispensabile per mantenere l’equilibrio, ma anche questo aspetto di complessità è un insegnamento. Ci ricorda che il giardinaggio ha tante facce e non sempre semplificare è l’unica strada o la più divertente. Certo, ci sono specie esuberanti che sono diventate un facile leitmotiv: Nephrolepis cordifolia, Begonia grandis subsp. evansiana, Ficus pumila o Pteris vittata con fronde lunghe un metro, cresciuta spontaneamente appena il luogo è tornato a essere innaffiato, una misteriosa rinascita dopo quasi cento anni. Una pianta di Hoya carnosa - Foto di Matteo Carassale Per il resto ci sono volute prove e controprove e una capillare conoscenza dei microclimi interni alla serra. La vasca d’acqua garantisce umidità atmosferica, una grotta rivestita di rocaille mitiga le temperature d’inverno e raffresca d’estate. Ai lati, i due bancali in pietra (monoliti pregevoli, come il cotto lombardo del pavimento) sono stati riempiti di terriccio e piantati; ciò che richiede maggior profondità cresce in vaso, mentre bromelie e tillandsie ricadono sospese. La botanica rara Tra le collezioni più significative (limitatamente alle specie rustiche di una stessa famiglia) ci sono le Zingiberaceae, Hedychium e Alpinia in testa, o le Araceae, come Rhaphidophora decursiva o Anthurium clarinervium. Le felci, arboree e non, fanno capolino ovunque e Sphaeropteris cooperi sopra tutte; i fiori dei crinum (C. asiaticum ‘Giganteum’) inebriano i sensi. Inaspettatamente, le orchidee coltivabili in serra fredda sono tante: dal Dendrobium nobile himalayano alle Cattleya delle montagne brasiliane, da alcuni Bulbophyllum del Vietnam ai Cymbidium botanici. I tralci dei rampicanti s’avviluppano sulla struttura: conturbanti aristolochie, vistose thunbergie (T. grandiflora e T. coccinea), gli eccentrici fiori di Solandra maxima, le campanelle rosse di Canarina canariensis, le bacche di Pereskia aculeata, insolita cactacea. Il catalogo è vasto e per andare oltre l’elenco serve una visita: Utopia Tropicale è nata non solo per salvare un luogo e aprirlo al pubblico, non solo con finalità scientifiche, ma soprattutto come strumento culturale, per coinvolgere e far conoscere. La meraviglia vegetale è a un passo da noi. Per la visita Oltre a incontri con vivaisti e curatori di giardini, corsi base su piante da interno, orchidee, succulente e cactacee, e serate speciali (come quella per i dieci anni la scorsa estate, dedicata ai suoni della giungla), la serra di Utopia Tropicale ospita ogni giugno la mostra-mercato di piante insolite e subtropicali ComeRaro. Indirizzo: via della Stazione 8, Comerio (Varese) Sito web: www.utopiatropicale.it Per prenotare la visita: cell. 340 7751511, info@utopiatropicale.it.

Fiori, piante, orti e giardini

Una foresta tropicale vista lago

La scoperta della serra abbandonata